Sin da quando decidemmo di avviare questa nostra “navigazione” crediamo di non aver lesinato, in nessuna occasione, attenzione ai diversi fatti storici, politici, culturali che riguardano non solo la Nazione Siciliana ma anche la più ampia e correlata realtà internazionale e delle nazioni abrogate .
In questa linea, in questi giorni, ci stiamo interrogando su quanto accade per ora in Moldavia e vogliamo qui riproporvi un articolo di Stefano Magni intitolato:” Moldavia, il silenzio dell’Ue e della Nato” presente sul sito del quotidiano “ L’Opinione” ( www.opinione.it ) e pubblicato sull'edizione cartacea n° 74 del 09 Aprile 2009 .
BONA LITTURA!
Repressa a Chisinau la ribellione pro-europea, Bucarest sotto accusa
Moldavia, il silenzio dell’Ue e della Nato
Una nuova rivoluzione è scoppiata alle porte dell’Europa, in Moldavia (nome ufficiale: Repubblica Moldova). Questa volta non è “di velluto” come le precedenti ribellioni nell’ex Patto di Varsavia, Serbia, Georgia, Ucraina, Kirghizistan, ma un moto improvviso e violento che è culminato con l’assalto al palazzo presidenziale e alla sede del Parlamento nella capitale Chisinau. Secondo le autorità, i moti hanno provocato un morto (una donna) e 270 feriti. La causa, come nei precedenti casi di Paesi ex sovietici, è un’elezione parlamentare in cui il Partito Comunista, discendente diretto del potere sovietico, ha vinto con più del 50% dei voti, garantendosi il prossimo presidente, la maggioranza parlamentare e l’esecutivo. L’opposizione, costituita da una coalizione di partiti liberali e filo-europei, scende in piazza perché si sente vittima di una frode elettorale. L’Osce non conferma né smentisce del tutto queste accuse. Il portavoce dell’Organizzazione in Moldavia, Matti Sidoroff, ha dichiarato che il processo elettorale abbia rispettato i principali standard internazionali, ma il 6 aprile, durante lo spoglio, aveva anche citato casi di “indebita pressione amministrativa” nel voto. L’opposizione locale, invece, parla direttamente di brogli e intimidazioni ai danni degli elettori, soprattutto al di fuori della capitale. Il segretario del Partito Liberale, Vlad Filat, ha dichiarato alla Reuter che: “le autorità non hanno rispettato i patti stipulati con il presidente Voronin” per permettere all’opposizione l’accesso alle liste dei votanti. Ora, lo stesso Filat, non esclude che le autorità procedano con “arresti sia dei leader politici che dei militanti dell’opposizione, per mantenere alta la pressione, dare un esempio su come intendono trattare chi dovesse decidere di protestare”. Gli arresti di oppositori, dopo il martedì di fuoco, sono già a quota 193 (secondo l’agenzia russa Ria Novosti) e potrebbero essere molti di più. Tra i fermati figurerebbe anche il leader del partito d’opposizione Azione Popolare, Sargiu Mocanu.
Una volta ripreso il controllo della situazione e delle sedi istituzionali, le autorità comuniste moldave sono passate al contrattacco, denunciano il “golpe” e si dicono pronte a usare la forza. Seguendo il solito schema, additano la responsabilità di un nemico esterno che starebbe complottando per rovesciare il governo. Non mancano le accuse lanciate a Cia e servizi segreti britannici (il capro espiatorio classico di tutti i regimi post-comunisti) e su questo Mosca soffia sul fuoco. Ieri un esponente di spicco del partito Russia Unita (quello di Vladimir Putin e Dmitri Medvedev) dichiarava che lo scopo dell’insurrezione è: “Indebolire l’influenza della Russia nei paesi della ex Unione Sovietica affinché intorno alla Russia non vi siano più Stati filorussi”. Il partito putiniano ha ribattezzato arbitrariamente la rivolta “rivoluzione lilla” (visto che “in Moldavia crescono i lilla”) per sottolineare la continuità con le rivoluzioni “colorate” (rosa e arancione) di Georgia e Ucraina, tutte, secondo la propaganda russa, “pilotate dalla Cia”. Per il presidente uscente moldavo Vladimir Voronin, il nemico più vicino da incolpare è la Romania: il suo ambasciatore è già stato dichiarato “persona non grata” e sono stati negati i visti di ingresso ai cittadini rumeni. E non è un caso che si scelga di scaricare la responsabilità su Bucarest, perché la Moldavia ha una maggioranza di lingua neolatina, una bandiera uguale a quella del vicino europeo e una storia di appartenenza alla Romania dal 1918 fino alla II Guerra Mondiale. La Romania fu già accusata di alimentare le insurrezioni moldave negli ultimi anni dell’Urss, quando la popolazione, nel 1988, avviò un vasto movimento di protesta per ripristinare l’uso della propria lingua neolatina al posto del russo ufficiale. Nel 1991, quando la Moldavia dichiarò la propria indipendenza dall’Urss e chiese il ritiro della XIV armata sovietica dal territorio della Transnistria, i russi intervennero militarmente, separarono, di fatto, la regione al di là del Dniestr dal resto del Paese e minacciarono ancora la Romania. “Possiamo arrivare a Bucarest in due ore” affermava più volte il generale Alexandr Lebed durante quella guerra. Gli schieramenti di oggi sono all’incirca analoghi a quelli del 1991-’92, con i comunisti moldavi dalla parte dei russi e i partiti liberali che aspirano alla riunificazione con la Romania e vogliono entrare nell’Unione Europea. I Russi sono sempre militarmente presenti nella Transnistria e possono intervenire ancora per poi dichiarare l’indipendenza della regione moldava a maggioranza russa, come hanno fatto con la Georgia nel 2008. Per ora si limitano a dare appoggio incondizionato al presidente Voronin. Attualmente, dunque, ci ritroviamo con un Paese membro dell’Ue e della Nato, la Romania, direttamente minacciato dal presidente moldavo, a sua volta appoggiato dalla Russia e dal suo enorme potere di intimidazione militare. E’ un test notevole per la tenuta dell’Unione Europea allargata ai suoi 27 membri e della Nato, allargata a 28 membri. Ma finora l’unica dichiarazione ufficiale di Bruxelles invitava entrambe le parti (ma soprattutto gli insorti filo-europei) alla moderazione. La Nato non si pronuncia. E anche Obama, appena tornato dal suo viaggio in Europa, resta in silenzio.
Stefano Magni
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