mercoledì 16 giugno 2010

SUL RISORGIMENTO ITALIANO …

Le attuali celebrazioni in occasione del centocinquantesimo dell’unificazione sono, a ben vedere, caratterizzate da un acceso dibattito sviluppatosi tra chi il risorgimento sostiene, nelle forme canonizzate quasi agiografiche e chi, invece, crede sia giunto il tempo, finalmente, di riportare alla reale dimensione, demitizzandola questa fase storico-politica.
Costoro e Noi con essi denunciamo la pesante coltre ideologica che ha ammantato e fondamentalmente riscritto per centocinquanta anni i tanti eventi che si sono succeduti dal 1860.
E’ ovvio, fisiologico quasi che due visioni così antitetiche si confrontino e/o scontrino soprattutto in un Paese, in una forma-stato mai divenuta nazione come l’Italia.
Italia che non ha voluto o saputo, fin qui, ristabilire la verità storica sui fatti inerenti gli eventi che portarono alla “unificazione” poi sancita nel 1861 sotto le insegne savoiarde.
In questo 2010 si può dire e scrivere, secondo libertà e verità, di quegli avvenimenti finalmente senza più censure. Restano però attive ed operanti tutta una serie di remore indotte da centocinquanta anni di alienazione culturale pervicamente perseguita.
A ciò si aggiunga l’azione infastidita di certi settori patriottardi, pigramente abituati al mito risorgimentalista che male tollerano qualsivoglia critica e/o contraddittorio.
Tutti costoro restano insensatamente abbarbicati ad una mitopoiesi che è comunque, anche oggi, animata ed alimentata, da una macchina commemorativa milionaria in euro che può contare sulla storiografia ufficiale ed istituzionalizzata.
Ciò significa che a tutt’oggi, la storia ufficiale e la manualistica scolastica, ad essa collegata, promuovono una sistematica rimozione della verità storico-politica e socio-economica dalla "unificazione" .
Ci si ostina a mantenere ferme visioni stantie, anche se non mancano segnali ed avvisaglie che consiglierebbero un ripensamento rispetto a siffatti atteggiamenti.
Penso, ad esempio, al recente bicentenario flop della nascita di Giuseppe Garibaldi da Nizza così emblematico.
E invece ci si ostina a proseguire con prassi superate. Perché?
Credo dipenda da una composita serie di motivi d’ordine politico generale e non ultimo il non indifferente budget economico correlato a questo anniversario.
Tutto ciò ha spinto comprensibilmente il mondo istituzionale e meno comprensibilmente quello istituzionalizzato a fare delle attuali celebrazioni una sorta di “ridotta” culturale e politica in cui difendere una certa stantia visione risorgimentalista e patriottarda.
I risultati, sin qui, non sono stati dei migliori. Dal punto di vista storiografico i risorgimentalisti scontano l’insostenibilità delle loro posizioni che sono, con tutta evidenza, ideologiche.
Del resto oggi la verità storica seppure lentamente quanto inesorabilmente va emergendo e va liberandosi, così, dalla camicia di forza in cui era stata ridotta e compressa dagli italianisti.
Anziché accettare l’evidenza certuni risorgimentalisti si sentono sotto attacco, come se avere declamato per un secolo e mezzo verità posticce li autorizzi di per sé a fare di queste asserzioni false un uso pressoché infinito.
Di fronte a queste prassi e a questi atteggiamenti il liberalismo proclamato da molti, invocato da molti altri e praticato professionalmente da qualcun altro, in campo centralista, mostre le corde.
I tanti liberali e liberaldemocratici in servizio permanente effettivo non trovano spesso di meglio che lanciare anatemi cercando, seppure con qualche mestiere, di rivoltare le loro prassi, i loro comportamenti contro i loro contraddittori.
Ecco allora che uomini brillanti, culturalmente di valore scrivono riguardo alla nuova coscienza politica e storiografica che si tratta di una “azione combinata e corrosiva di tendenza storiografiche ideologizzate e di nostalgie antistoriche”.
Senza volere polemizzare in modo sterile dobbiamo però dire che, comunque la si pensi, questo non è un buon viatico al dibattito ed a qualunque confronto.
Eppure il mondo politico e storiografico segnatamente liberale e/o liberaldemocratico dovrebbe ricordare l’essenza vera, più intensa e concreta della loro “visione” del Mondo.
Per dirla con le parole contenute in un bell’articolo di Dario Antiseri una posizione realmente liberale è quella che “si basa sul coraggio e la fiducia, sull’essere pronti a lasciare andare le cose per il loro verso, anche se non possiamo prevedere dove ci porteranno”.
A ben vedere nell’attualità di questa polemica sul centocinquantesimo dell’unificazione è in gioco, in quest’ottica, qualcosa di estremamente importante per chi si richiama al pensiero liberale.
Tutti costoro dovrebbero avere la capacità di mettersi e mettere tutto in discussione per difendere la libertà.
Libertà che è, si badi bene, inseparabile, ieri, oggi e domani dalla verità storica.
Dunque tutti coloro che rifiutano di coniugare libertà e verità storica per dirla con Von Hayek non è un liberale ma semmai un conservatore.
Inquadrata così la polemica sul ferale centocinquantesimo anniversario diviene anche terreno di confronto e scontro tra conservatorismo tout court e liberalismo.
A ciò, inevitabilmente, si sovrappongono, interpongono e/o frappongono altri dati ideali e valori ideologici. Anche il tema della cristallizzazione del passato è un dato con cui devono fare i conti molti dei vecchi stati-nazione non esclusa l’Italia.
Resta comunque valido il vecchio adagio di un socialista umanista, Eric Blair, meglio noto come George Orwell che nel 1949 nel suo noto “1984” così scriveva: “chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”.
Abbiamo tutti di che meditare e specialmente quei risorgimentalisti ostinati che si dicono liberali.



ANTUDU!



TRINAKRIUS

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