domenica 27 giugno 2010

UN ALTRO TESORO CHE ANGELO CARIA, INTELLETTUALE E PATRIOTA SARDO HA LASCIATO AL SUO POPOLO: LA SUA POESIA

Ripostiamo qui un interessante nota, inviataci dall’amica Aurora, a firma di Bustianu Cumpostu.
Onore all’indimenticato patriota Sardo , Angelo Caria, che tanta stima aveva per la Questione Siciliana e per quel Frunti Nazziunali Sicilianu in cui Noi ci riconosciamo in termini politico-organizzativi.

BONA LITTURA!

Il blog “laquestionesiciliana



CUSSIVEROS SUPRA SA POESIA DE ANGELO – PARTE POETICA
Nella poesia la sua terra, è corpo, è faccia, è cultura, le rocce sono rughe di un volto che ha sopportato umiliazioni, ma sono anche parola, in dialogo con gli uccelli, con le piante, con la sua gente. Un dialogo di ribellione e di orgoglio. Nella poesia Angelo diventa falco e vola alto, ma è anche maestoso pastore, roccia, pietra, nibbio, non c’è stacco, uno è tutto e vestite le ali del gabbiano vola soffice e ammira la splendida visione di un giusto rapporto tra uomini e terra. La grande ameba, che ricorda l’ordigno di Eliseo Spiga in Capezzoli di Pietra, sgretola la sua terra, falsa la storia del suo popolo ma non impedisce al suo cervello di illudersi di essere libero e di continuare la lotta per esserlo realmente. Per Angelo la libertà va raggiunta prima nel cervello, in su sentidu, se si vuole poi conseguirla come persona e come popolo. L’ameba è polizia coloniale, cane rabbioso, turista impegnato nel proprio safari sardo, borghesia comporadora. La ribellione diventa dura e decisa, collettiva, al pastore si aggiunge il minatore che scorrendo nelle vene della terra ha maturato rabbia d’insurrezione, il contadino che vede vanificato il suo lavoro e l’operaio che inizia a vedere il fallimento delle cattedrali di luci. Le mani si alzano le bocche gridano, anzi trillano, diventano launeddas e uniscono in un’unica lotta l’aratro del contadino, il falasso del pescatore, l’ovile del pastore ed i castelli di luce degli operai. La grande ameba è un leviatano, pesa e distrugge, i sardi non solo passano leggeri ma come spighe secche muoiono senza rumore, nel corpo ma non nel cervello. E’ nel cervello, nel sentidu di essere popolo oppresso, che Angelo veste le piume arrabbiate e trasforma la ribellione in odio. Il latitante di parole attende il momento, dietro i cespugli, con l’arma in mano. E’ inutile correre si deve aspettare il momento della ribellione, stando sempre e comunque dalla parte dei banditi. L’ameba diventa zio Samuele, la ribellione supera i confini della sua terra e si allarga al mondo, diventa valore assoluto, Amerindi come Sardi e piange la morte di Che Guevara, una spiga che cadendo ha fatto rumore e ha fatto tremare lo zio Samuele. Nella poesia Angelo si sente più forte, è la poesia che gli permette di districarsi tra i cespugli indotti del cervello e dare sostanza al pensiero ed al suo agire in difesa del proprio popolo. E’ tra quei cespugli che riesce a scovare le facce e le forme, simboli di una cultura nascosta, negata. I’uomo sardo è asfodelo e il suo essere popolo cestino che dura nel tempo. Travolto “L’asfodelo si china – bianco – ma io lo penso più vivo – che da anima ai cestini – fermi nel tempo”.


Bustianu Cumpostu

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