Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Lucio Garofalo.
Nel farlo Noi de “laquestionesiciliana” ribadiamo, come doveroso e necessario, che il nostro punto di vista politico e culturale è diverso e diversificato rispetto alla valutazione storico-politica, che certi settori, meridionalisti e/o filoborbonici, fanno sul complessivo atteggiamento assunto dal Regno delle Due Sicilie in merito alla Sicilia e alla Nazione Siciliana.
Dato che però non ci impedisce, come nel caso in questione, di concordare sulle valutazioni etico-politiche riguardo quanto perpetrato, in Sicilia come nel Meridione Continentale, durante e dopo il processo di “annessione forzata” al Regno sabaudo del Piemonte.
Nel farlo Noi de “laquestionesiciliana” ribadiamo, come doveroso e necessario, che il nostro punto di vista politico e culturale è diverso e diversificato rispetto alla valutazione storico-politica, che certi settori, meridionalisti e/o filoborbonici, fanno sul complessivo atteggiamento assunto dal Regno delle Due Sicilie in merito alla Sicilia e alla Nazione Siciliana.
Dato che però non ci impedisce, come nel caso in questione, di concordare sulle valutazioni etico-politiche riguardo quanto perpetrato, in Sicilia come nel Meridione Continentale, durante e dopo il processo di “annessione forzata” al Regno sabaudo del Piemonte.
Con questo articolo vorrei rievocare la memoria di alcune terribili esperienze storiche in cui sono stati consumati veri e propri eccidi di massa, troppo spesso dimenticati o ignorati dalla storiografia e dai mass-media ufficiali.
Mi riferisco allo sterminio degli Indiani d’America e ai massacri perpetrati a danno dei “Pellerossa” del Sud Italia, vale a dire i briganti e i contadini del Regno delle Due Sicilie.
Dopo la scoperta del Nuovo Mondo ad opera di Cristoforo Colombo nel 1492, quando giunsero i primi coloni europei, il continente nordamericano era popolato da circa un milione di Pellerossa raggruppati in 400 tribù e in circa 300 famiglie linguistiche.
Quando i coloni bianchi penetrarono nelle sterminate praterie abitate dai Pellerossa, praticarono una caccia spietata ai bisonti, il cui numero calò rapidamente e drasticamente rischiando l’estinzione totale.
I cacciatori bianchi contribuirono così allo sterminio dei nativi che non potevano vivere senza questi animali, da cui ricavavano cibo, pellicce ed altro ancora. Ma la strage degli Indiani fu operata soprattutto dall’esercito statunitense che pur di espandersi all'interno del Nord America cacciò ingiustamente i nativi dalle loro terre attuando veri e propri massacri senza risparmiare donne e bambini.
I Pellerossa vennero letteralmente annientati attraverso uno spietato genocidio.
Oggi i Pellerossa non formano più una nazione, sono stati espropriati non solo della terra che abitavano, ma anche della memoria e dell’identità culturale.
Infatti una parte di essi si è integrata completamente nella civiltà bianca, mentre un'altra parte vive reclusa in alcune centinaia di riserve sparse nel territorio statunitense e in quello canadese.
Un destino simile, anche se in momenti e con dinamiche diverse , accomuna i Pellerossa d'America e i Meridionali d'Italia.
Questi furono chiamati “Briganti”, vennero trucidati, torturati, incarcerati, umiliati. Si contarono 266 mila morti e 498 mila condannati.
Uomini, donne, bambini e anziani subirono la stessa sorte. Processi manovrati o assenti, esecuzioni sommarie, confische dei beni.
Ma noi Meridionali eravamo cittadini di uno Stato molto ricco.
Il Piemonte dei Savoia era fortemente indebitato con Francia e Inghilterra, per cui doveva rimpinguare le proprie finanze. Il governo della monarchia sabauda, guidato dallo scaltro e cinico Camillo Benso conte di Cavour, progettò la più grande rapina della storia moderna: cominciò a denigrare il popolo Meridionale per poi asservirlo invadendone il territorio: il Regno delle Due Sicilie, lo Stato più civile e pacifico d'Europa.
Nessuno venne in nostro soccorso. Soltanto alcuni fedeli mercenari Svizzeri rimasero a combattere fino all'ultimo sugli spalti di Gaeta, sino alla capitolazione. I vincitori furono spietati. Imposero tasse altissime, rastrellarono gli uomini per il servizio di leva obbligatoria (che invece era già facoltativo nel Regno delle Due Sicilie); si comportarono vigliaccamente verso la popolazione e verso il regolare ma disciolto esercito borbonico, che insorsero. Ebbe così inizio la rivolta dei Briganti Meridionali. Le leggi repressive furono simili a quelle emanate a scapito dei Pellerossa. Le bande di briganti che lottavano per la loro terra avevano un pizzico di dignità e di ideali, combattevano un nemico invasore grazie anche al sostegno delle masse popolari e contadine, deluse e tradite dalle false e ingannevoli promesse concesse dal pirata massone e mercenario Giuseppe Garibaldi. Contrariamente ad altre interpretazioni storico-meridionaliste, non intendo equiparare il fenomeno del Brigantaggio meridionale alla Resistenza partigiana del 1943-45. Per vari motivi, anzitutto per la semplice ragione che nel primo caso si è trattato di una vile aggressione militare, di una guerra di conquista violenta e sanguinosa (come è stata del resto anche la guerra tra fascisti e antifascisti), ma che ha avuto una durata molto più lunga (un intero decennio) dal 1860 al 1870.
Una guerra civile che ha provocato eccidi spaventosi, massacri di massa in cui sono stati trucidati centinaia di migliaia di contadini e briganti meridionali, persino donne, anziani e bambini, insomma un vero e proprio genocidio perpetrato a scapito delle popolazioni del Sud Italia. Una guerra che si è conclusa tragicamente dando inizio al fenomeno dell’emigrazione di massa dei meridionali.
Un esodo di proporzioni bibliche, paragonabile alla diaspora del popolo ebraico. Infatti, i meridionali sono sparsi e presenti nel mondo ad ogni latitudine, in ogni angolo del pianeta, hanno messo radici ovunque, facendo la fortuna di numerose nazioni: Argentina, Venezuela, Uruguay, Stati Uniti d’America, Svizzera, Belgio, Germania, Australia, eccetera.
Ripeto. Se si vuole comparare la triste vicenda del Brigantaggio e della brutale repressione subita dal popolo meridionale, con altre esperienze storiche, credo che l’accostamento più giusto da suggerire sia appunto quello con i Pellerossa e con le guerre indiane combattute proprio nello stesso periodo storico, ossia verso la fine del XIX secolo. Guerre feroci e sanguinose che hanno provocato una strage altrettanto raccapricciante, quella dei nativi nordamericani. Un genocidio troppo spesso ignorato e dimenticato, come quello a danno delle popolazioni dell’Italia meridionale.
Nel contempo condivido in parte il giudizio (forse troppo perentorio) rispetto al carattere anacronistico, retrivo e antiprogressista, delle ragioni politiche, storiche, sociali, che stanno alla base della strenua lotta combattuta dai briganti meridionali.
In politica ciò che è vecchio è (quasi) sempre reazionario. Tuttavia, inviterei ad approfondire meglio le motivazioni e le spinte ideali che hanno animato la resistenza e la lotta di numerosi briganti contro i Piemontesi invasori.
Non voglio annoiare i lettori con le cifre relative ai numerosi primati detenuti dalla monarchia borbonica e dal Regno delle Due Sicilie in vasti ambiti dell’economia, della sanità, dell’istruzione eccetera, né intendo in tal modo esternare sciocchi sentimenti di inutile nostalgia rispetto ad una società arcaica, di stampo dispotico e aristocratico-feudale, ossia ad un passato che fu prevalentemente di barbarie e oscurantismo, di ingiustizia ed oppressione, di sfruttamento e asservimento delle plebi rurali del nostro Meridione.
Ma un dato è certo e inoppugnabile: la monarchia sabauda era molto più retriva, molto più rozza, ignorante e dispotica, meno illuminata di quella borbonica. Il Regno delle Due Sicilie era indubbiamente molto più ricco, avanzato e sviluppato del Regno dei Savoia, tant’è vero che esso rappresentava un boccone assai invitante ed appetibile per tutte le maggiori potenze europee, Inghilterra e Francia in testa. Tuttavia, questo è un argomento vasto e complesso che richiederebbe un approfondimento adeguato.
Infine, concludo con una breve chiosa a proposito della tesi circa le presunte spinte progressiste incarnate dai processi di unificazione degli Stati nazionali nel XIX secolo e dello Stato europeo oggi. Non mi pare che tali processi abbiano garantito un reale, autentico progresso sociale, morale e civile, ma hanno favorito e generato quasi esclusivamente uno sviluppo prettamente economico. Voglio dire che l’unificazione dei mercati e dei capitali, prima a livello nazionale ed ora a livello europeo, o addirittura globale, non coincide affatto con l’unificazione e con l’integrazione dei popoli e delle culture, siano esse locali, regionali o nazionali.
Ovviamente, le forze autenticamente democratiche, progressiste e rivoluzionarie devono puntare a raggiungere il secondo traguardo.
Mi riferisco allo sterminio degli Indiani d’America e ai massacri perpetrati a danno dei “Pellerossa” del Sud Italia, vale a dire i briganti e i contadini del Regno delle Due Sicilie.
Dopo la scoperta del Nuovo Mondo ad opera di Cristoforo Colombo nel 1492, quando giunsero i primi coloni europei, il continente nordamericano era popolato da circa un milione di Pellerossa raggruppati in 400 tribù e in circa 300 famiglie linguistiche.
Quando i coloni bianchi penetrarono nelle sterminate praterie abitate dai Pellerossa, praticarono una caccia spietata ai bisonti, il cui numero calò rapidamente e drasticamente rischiando l’estinzione totale.
I cacciatori bianchi contribuirono così allo sterminio dei nativi che non potevano vivere senza questi animali, da cui ricavavano cibo, pellicce ed altro ancora. Ma la strage degli Indiani fu operata soprattutto dall’esercito statunitense che pur di espandersi all'interno del Nord America cacciò ingiustamente i nativi dalle loro terre attuando veri e propri massacri senza risparmiare donne e bambini.
I Pellerossa vennero letteralmente annientati attraverso uno spietato genocidio.
Oggi i Pellerossa non formano più una nazione, sono stati espropriati non solo della terra che abitavano, ma anche della memoria e dell’identità culturale.
Infatti una parte di essi si è integrata completamente nella civiltà bianca, mentre un'altra parte vive reclusa in alcune centinaia di riserve sparse nel territorio statunitense e in quello canadese.
Un destino simile, anche se in momenti e con dinamiche diverse , accomuna i Pellerossa d'America e i Meridionali d'Italia.
Questi furono chiamati “Briganti”, vennero trucidati, torturati, incarcerati, umiliati. Si contarono 266 mila morti e 498 mila condannati.
Uomini, donne, bambini e anziani subirono la stessa sorte. Processi manovrati o assenti, esecuzioni sommarie, confische dei beni.
Ma noi Meridionali eravamo cittadini di uno Stato molto ricco.
Il Piemonte dei Savoia era fortemente indebitato con Francia e Inghilterra, per cui doveva rimpinguare le proprie finanze. Il governo della monarchia sabauda, guidato dallo scaltro e cinico Camillo Benso conte di Cavour, progettò la più grande rapina della storia moderna: cominciò a denigrare il popolo Meridionale per poi asservirlo invadendone il territorio: il Regno delle Due Sicilie, lo Stato più civile e pacifico d'Europa.
Nessuno venne in nostro soccorso. Soltanto alcuni fedeli mercenari Svizzeri rimasero a combattere fino all'ultimo sugli spalti di Gaeta, sino alla capitolazione. I vincitori furono spietati. Imposero tasse altissime, rastrellarono gli uomini per il servizio di leva obbligatoria (che invece era già facoltativo nel Regno delle Due Sicilie); si comportarono vigliaccamente verso la popolazione e verso il regolare ma disciolto esercito borbonico, che insorsero. Ebbe così inizio la rivolta dei Briganti Meridionali. Le leggi repressive furono simili a quelle emanate a scapito dei Pellerossa. Le bande di briganti che lottavano per la loro terra avevano un pizzico di dignità e di ideali, combattevano un nemico invasore grazie anche al sostegno delle masse popolari e contadine, deluse e tradite dalle false e ingannevoli promesse concesse dal pirata massone e mercenario Giuseppe Garibaldi. Contrariamente ad altre interpretazioni storico-meridionaliste, non intendo equiparare il fenomeno del Brigantaggio meridionale alla Resistenza partigiana del 1943-45. Per vari motivi, anzitutto per la semplice ragione che nel primo caso si è trattato di una vile aggressione militare, di una guerra di conquista violenta e sanguinosa (come è stata del resto anche la guerra tra fascisti e antifascisti), ma che ha avuto una durata molto più lunga (un intero decennio) dal 1860 al 1870.
Una guerra civile che ha provocato eccidi spaventosi, massacri di massa in cui sono stati trucidati centinaia di migliaia di contadini e briganti meridionali, persino donne, anziani e bambini, insomma un vero e proprio genocidio perpetrato a scapito delle popolazioni del Sud Italia. Una guerra che si è conclusa tragicamente dando inizio al fenomeno dell’emigrazione di massa dei meridionali.
Un esodo di proporzioni bibliche, paragonabile alla diaspora del popolo ebraico. Infatti, i meridionali sono sparsi e presenti nel mondo ad ogni latitudine, in ogni angolo del pianeta, hanno messo radici ovunque, facendo la fortuna di numerose nazioni: Argentina, Venezuela, Uruguay, Stati Uniti d’America, Svizzera, Belgio, Germania, Australia, eccetera.
Ripeto. Se si vuole comparare la triste vicenda del Brigantaggio e della brutale repressione subita dal popolo meridionale, con altre esperienze storiche, credo che l’accostamento più giusto da suggerire sia appunto quello con i Pellerossa e con le guerre indiane combattute proprio nello stesso periodo storico, ossia verso la fine del XIX secolo. Guerre feroci e sanguinose che hanno provocato una strage altrettanto raccapricciante, quella dei nativi nordamericani. Un genocidio troppo spesso ignorato e dimenticato, come quello a danno delle popolazioni dell’Italia meridionale.
Nel contempo condivido in parte il giudizio (forse troppo perentorio) rispetto al carattere anacronistico, retrivo e antiprogressista, delle ragioni politiche, storiche, sociali, che stanno alla base della strenua lotta combattuta dai briganti meridionali.
In politica ciò che è vecchio è (quasi) sempre reazionario. Tuttavia, inviterei ad approfondire meglio le motivazioni e le spinte ideali che hanno animato la resistenza e la lotta di numerosi briganti contro i Piemontesi invasori.
Non voglio annoiare i lettori con le cifre relative ai numerosi primati detenuti dalla monarchia borbonica e dal Regno delle Due Sicilie in vasti ambiti dell’economia, della sanità, dell’istruzione eccetera, né intendo in tal modo esternare sciocchi sentimenti di inutile nostalgia rispetto ad una società arcaica, di stampo dispotico e aristocratico-feudale, ossia ad un passato che fu prevalentemente di barbarie e oscurantismo, di ingiustizia ed oppressione, di sfruttamento e asservimento delle plebi rurali del nostro Meridione.
Ma un dato è certo e inoppugnabile: la monarchia sabauda era molto più retriva, molto più rozza, ignorante e dispotica, meno illuminata di quella borbonica. Il Regno delle Due Sicilie era indubbiamente molto più ricco, avanzato e sviluppato del Regno dei Savoia, tant’è vero che esso rappresentava un boccone assai invitante ed appetibile per tutte le maggiori potenze europee, Inghilterra e Francia in testa. Tuttavia, questo è un argomento vasto e complesso che richiederebbe un approfondimento adeguato.
Infine, concludo con una breve chiosa a proposito della tesi circa le presunte spinte progressiste incarnate dai processi di unificazione degli Stati nazionali nel XIX secolo e dello Stato europeo oggi. Non mi pare che tali processi abbiano garantito un reale, autentico progresso sociale, morale e civile, ma hanno favorito e generato quasi esclusivamente uno sviluppo prettamente economico. Voglio dire che l’unificazione dei mercati e dei capitali, prima a livello nazionale ed ora a livello europeo, o addirittura globale, non coincide affatto con l’unificazione e con l’integrazione dei popoli e delle culture, siano esse locali, regionali o nazionali.
Ovviamente, le forze autenticamente democratiche, progressiste e rivoluzionarie devono puntare a raggiungere il secondo traguardo.
Lucio Garofalo -
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