venerdì 20 giugno 2008

LETTERA ARGOMENTATA DI RISPOSTA ALL'ARTICOLO APPARSO SU "LA REPUBBLICA ED.PALERMO" 18/06/08 “ LA BANDIERA DELL’AUTONOMIA SENZA SPIRITO PROGRESSISTA"


Pubblichiamo, prima l'articolo del Quotidiano "LA REPUBBLICA" a firma di Amelia Crisantino e poi l'argomentata risposta di Fabio Cannizzaro, Vice Segretario F.N.S. e Presidente di FOCUS TRINAKRIA.




LA REPUBBLICA –PALERMO MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 2008-06-18
ARTICOLO DI AMELIA CRISANTINO “ LA BANDIERA DELL’AUTONOMIA SENZA SPIRITO PROGRESSISTA”. Pagg. I e XVII



Quando ha cominciato a perdere il centrosinistra in Sicilia? La memoria personale non basta a segnare un inizio, bisogna andare più indietro. La sequenza delle sconfitte elettorali sembra conoscere pochissime pause, deragliamenti che potevano trasformarsi in nuovi percorsi e poi vengono recuperati. In genere con la violenza. Basti pensare a come, nel secondo dopoguerra, i sindacalisti ammazzati e la strage di Portella servono a contenere, intimidire e controllare il voto popolare.
Se andiamo oltre il nome dei partiti, e con centrosinistra intendiamo quella parte composita della popolazione isolana che nel corso dei decenni ha perso ogni competizione, facilmente ci accorgiamo di come cambiano i nomi ma sembrano rimanere inalterate le coordinate di fondo: c’è malessere diffuso, disoccupazione per i giovani e assenza di prospettive per tutti, manca una cultura della buona amministrazione e si sprecano le occasioni che il mondo ci offre, il cattivo utilizzo dei fondi di Agenda 2000 è un esempio eloquente.
Ma, arrivati al momento del voto, i responsabili dello sfascio vengono in genere riconfermati alla grande. A quanto pare, alla maggioranza dei siciliani, va bene così.
Potenza delle reti clientelari, certo. E delle appartenenze che attraversano i mondi professionali – vedi la sanità – e per prima cosa chiedono la riconferma delle loro rendite di posizione.
Se poi aggiungiamo una certa pochezza nella dirigenza dei partiti di “ sinistra”, incapaci di rappresentare una convincente alternativa antropologica prima che politica, allora quasi tutto diventa spiegabile: una superficialità senza remore ha portato alla dissoluzione di quello che era un patrimonio messo da parte in molti anni di lotte. Ne ha lasciato evaporare anche il ricordo buttando a mare una storia dall’identità forte: prima c’era la rete delle sezioni del Pci e delle Camere del lavoro, che formavano l’intelaiatura laica dei paesi siciliani. Poi è arrivata la “Rete” di Orlando e Folena che sbarca a Palermo per convincere l’uomo dei plebisciti a candidarsi col Pci. E’ finita nella dissoluzione delle vecchie strutture, senza che altre ne prendessero il posto: l’identità debole è diventata la più riconoscibile delle anime del centrosinistra, pronta a lasciarsi suggestionareda ogni effimera sirena.
Oggi possiamo chiederci se esiste uno “ spirito progressista” della Sicilia, intendendo con quella definizione forse troppo idealista la comprensione delle condizioni date e la consapevole aspirazione a cambiarle.
Che non vuol dire una speranza generica a che le cose migliorino, ma studio per imparare a leggere le prospettive che il futuro riserva: in modo daelaborare un progetto che coincida con il cambiamento , una prospettiva che permetta di uscire dall’angolo dove le ripetute sconfitte hanno da tempo relegato la sempre più sparuta percentuale di siciliani che nell’andazzo corrente proprio non si riconosce. Ed è fin troppo facile risponderci che di questo “ spirito progressista” a volte si sono indovinati i possibili volti, ma che non esiste un progetto forte in grado di trainare la Sicilia salvandola dalle sabbie mobili del sottosviluppo assistito.
E la storia siciliana sembra tutt’uno con lo spirito reazionario, ha poco in comune con quello progressista. Sono innumerevoli le occasioni che vedono la Sicilia negare ogni ipotesi di cambiamento ,nemmeno il referendum istituzionale che chiedeva di scegliere fra monarchia e repubblica riuscì a convincere i siciliani a votare contro il passato, anche se non amato.
Ed è chiaro che solo una prospettiva ampia, di lungo periodo, è in grado di spiegarci le complesse cause strutturali che sono alla base di questo carattere.
Il passato grava sempre sul presente, specie se rimane oscuro. In fondo incompreso
Nel 1971 uno storico francese, Paul Bois, scrisse un libro diventato un piccolo classico: s’intitolava “ Contadini dell’Ovest. Le radici sociali della mentalità controrivoluzionaria”, e utilmente si può leggere pensando alla Sicilia. Bois analizzava le sconfitte nel “ profondo sud” della Vandea, scriveva di lunga durata e riprendeva le lotte di fine ‘700 per spiegare la persistente diffidenza e il diffuso ribellismo come frutto di un’esistenza ai margini delle leggi, della società. E’ questo che è accaduto in Sicilia? Nell’ovest di Bois, i contadini che alle soglie del 2000 daranno vita ad una società impaurita dal cambiamento subiscono numerosi abusi, ma restano comunque contadini. Non cadono mai al livelli dei siciliani “braccianti” che sono sottoproletariato, sfruttati per secolo senza alcuna remora. Quando la società siciliana inizia la sua difficile modernizzazione, nell’età del risorgimento, sembra che i giochi siano già conclusi.
Si innalza la bandiera dell’autonomia, prima contro Napoli e poi a seguire,sempre a combattere quel “vento del nord” che coincideva con le riforme.
La prima volta che un nobile assoldò una squadra di “picciotti” compì un gesto capace di condizionare la storia futura. Perché quei picciotti che andavano a combattere li si voleva mantenere al loro posto , la “libertà” siciliana non coincise mai con il progresso per le classi più povere. Tutt’altro. Ogni eventuale progresso rischiava di trasformarsi in un montarsi la testa che a tutti sembrava pericoloso. Meglio mantenere i siciliani poveri, ignoranti e timorati di Dio. E’ stato così per secoli, noi siamo figli di questa storia.



Lettera argomentata di risposta



Avendo letto un interessante articolo a firma di Amelia CRISANTINO apparso sulle pagine dell’edizione di PALERMO de “LA REPUBBLICA ”, di Mercoledì 18 GIUGNO 2008, dal titolo “ LA BANDIERA DELL’AUTONOMIA SENZA SPIRITO PROGRESSISTA” avverto la necessità di avanzare alcuni dubbi sul senso e sul merito di taluni ragionamenti e delle relative analisi in esso poi proposte.
Premetto, subito e a scanso di equivoci, che chi scrive è, apertamente, dichiaratamente e schiettamente di parte. Sono, infatti, un Siciliano INDIPENDENTISTA democratico e pacifista.
Ed è proprio da Siciliano che avverto e colgo a pieno la, sicuramente non voluta, indeterminatezza di detto insieme di ragionamenti.
Vengo e mi spiego. La articolista inizia il suo excursus essendo persuasa che l’ultima, cocente sconfitta del Centro e della, delle Sinistra ,a livello amministrativo, anche stavolta, sia fondamentalmente dipesa, come prima per le Politiche e le Regionali, solo da una “vocazione” pervicacemente coltivata, quasi antropologica, dei Siciliani e delle Siciliane, a sguazzare nello sfascio e/o nel clientelismo.
E’ però va detto che una simile analisi, attenta e fors’anche spietata, sarebbe andata bene e sarebbe stata utile e conseguente se avesse guardato ad un quadro politico in cui agissero e operassero un Centro e delle Sinistre, eticamente e moralmente diverse, per background, da quel centro destra che osteggiano e combattono politicamente. Ma così non è.
Ciò su cui l’autrice passa sopra è il fatto che il contesto politico è altro da quello che Ella materializza ed evoca.
Il quadro istituzionale e politico-burocratico in cui è maturata la “sconfitta”, sono maturate le “sconfitte” sono stati voluti, determinati e contornati “in condominio” proprio tra loro e gli attuali trionfatori del Centro destra siciliano, che qui, in Sicilia, comprende anche la leggiadra “macchina da guerra “dell’UDC.
L'autrice non ha scritto, sicuramente per non rendere troppo pesante e scolastico il “pezzo”, che il Centro e più ancora le Sinistre in Sicilia, da tempo, non sono più politicamente quelle dei tempi del Sindacalismo coraggioso da lei giustamente evocato.
Oggi Tutti costoro condividono esattamente e puntualmente, pur con lodevoli eccezioni, l’immaginario proposto e veicolato a livello di prassi di Governo anche dal Centro Destra.
Volete la prova? Presto detto: cosa è mutato, cosa è profondamente cambiato quando al Governo, a Roma come a Palermo come anche nelle realtà territoriali siciliane ha Governato “ la metà del cielo “ oggi sconfitta e prostrata?
La risposta è evidente: NULLA!

La giornalista continuando poi nel suo ragionamento testualmente scrive:
“ […]Se andiamo oltre il nome dei partiti, e con centrosinistra intendiamo quella parte composita della popolazione isolana che nel corso dei decenni ha perso ogni competizione […]”
Non è proprio così. Il centro e le sinistre talvolta hanno perduto ma hanno anche spesso vinto e in virtù di ciò hanno governato la Sicilia, le sue Province e Città , con risultati diciamolo non migliori degli attuali vincitori. E’ un dato questo che deve essere comunque ricordato e ribadito.
Come ancora credo sia necessario ammettere che la Sinistra Siciliana, democratica e no, e con essa il democraticismo ed il progressismo latamente intesi, che espressero, in passato, personalità adamantine, universalmente riconosciute tali, come, ad esempio, Pio La Torre hanno, da tempo, ceduto il passo, per scelte lecite quanto però foriere di conseguenze, ad una nuova, profondamente diversa classe dirigente, omologata ed omologabile, a quella espressa dall’intero arco del vigente sistema di potere siciliano.
Taluni hanno chiamato ciò anche “evoluzione del quadro politico”.
Noi indipendentisti abbiamo espresso via via riserve e remore non sui mutamenti ideologici ( leciti ed utili) quanto più sull’omologazione dei comportamenti a prassi diremo non “virtuosissime”.
E’ questo un dato indiscutibile. Scendendo poi nello specifico crediamo che faccia bene, benissimo la Crisantino a citare Agenda 2000.
Ricordiamo, infatti, ai disattenti che gli unici ad averne contestato i facilmente preventivabili sprechi e eccessi siamo stati solo Noi Indipendentisti F.N.S., isolati e scherniti dal sistema di potere, anche mediatico, di cui facevano parte anche i partiti e le componenti che oggi sono uscite ridimensionate e sconfitte dalla batteria elettorale di questo 2008.
Siamo stati Noi, infatti, gli unici nel vuoto creatoci intorno, difatti, a parlare di “MERENDA 2000”.

Quel patrimonio a cui l’articolista fa nostalgico riferimento è dunque stato sacrificato scientemente sull’altare dell’accesso al potere.
Processo contro il quale si batterono , seppure isolate, certune delle migliori energie della Sinistra, non in virtù di diktat ideologici ma ben comprendendo il senso di un siffatto accesso ai bottoni nenniani del potere.
E si perché va detto che la sinistra, il centro sinistra in QUELLE STANZE, talvolta, CI HANNO PURE BIVACCATO.
E’ inutile, infatti, negare che vi è, oggi, una RETE di cointeressenze, transpartitica e postideologica.
Come è improduttivo contestare che questa rete sia divenuta sempre più impudica e autoreferenziale.
Ciò che va invece detto, per fare tesoro di tutto ciò, è che le forze politiche di Centro e di Sinistra in Sicilia hanno accettato troppo entusiasticamente e acriticamente questa “prassi”.
Qui non è in discussione tanto l’idea politica di cambiamento quanto la reale affidabilità di una intera classe politica e dirigente che nell’alveo progressista o simil tale è nata, cresciuta e fors’anche pasciuta.
Una classe profondamente non all’altezza dei principi proclamati che oggi vorrebbe, facilmente, troppo facilmente, riversare sulla Sicilia e sui Siciliani, i propri fallimenti e i propri rachitismi politici.
Nel suo ragionamento gioco forza involuto più che per colpa sua per le tante contraddizioni disseminate in giro da quell’area politica l’Autrice poi aggiunge:
“Oggi possiamo chiederci se esiste uno “ spirito progressista” della Sicilia” .
La domanda ha una sua importanza e non è secondaria né peregrina. Semmai è rivolta ad una classe dirigente ed a una intellighenzia che non sanno o non vogliono venire fuori dalla crisi in cui si sono cacciati. Perché venirne fuori significherebbe, in concreto, rinunciare a vezzi e rendite di posizione.
Chiedersi il perché di una sconfitta non basta se non si è pronti e/o disposti a trarne insegnamenti e/o conclusioni.
Il motivo della sconfitta è certo composito e tra le varie cause ve ne è una che molti, troppi si rifiutano di attenzionare: l’avere trascurato l’esistenza di una specifica, peculiare Questione Siciliana, che è Questione Nazionale.
A ben vedere anzi nell’analisi offertaci in questo articolo de “La Repubblica”, si fotografa un consolidato atteggiamento.
Cioè è come se l’essere Siciliani fosse una colpa, un peccato originale da cui troppo poco ci si è “candeggiati” ed emendati.
Taluni hanno dimenticato che rifiutando i loro essere Siciliani e la loro e l’altrui dimensione Identitaria, Comunitaria, rifiutando di essere e percepirsi parte della Sicilia sana e del Popolo Siciliano onesto ed antimafioso, hanno allontanato non pochi, anche elettoralmente, dalla loro area.Ciò li ha proiettati nell’immaginario collettivo come ANTISICILIANI.
Sembra di avere a che fare conquel qualcuno che, in epoche passate, diceva di lottare “ per il Popolo, con il Popolo, ma senza il Popolo.”
Ma, si badi, questa potrebbe anche essere una mia, una nostra particolare “lettura”, quindi torniamo alla concretezza del tenore dell’analisi propostaci dalla giornalista.
Giornalista che ritiene che essere progressisti, vivere lo “spirito progressista “ vuol dire : “[…] imparare a leggere le prospettive che il futuro riserva: in modo da elaborare un progetto che coincida con il cambiamento “. Definizione in sé accettabile se non fosse che l’intera analisi è permeata da una forte antisicilianità che traspare, a vari livelli, dalla lettura della restante parte di questo articolo.
Si tratta , a mio avviso, lo dico con rispetto di forme di pregiudizio antisiciliano, di un vezzo che è uno dei motivi culturali, ideali e politici che ostacolano un nuovo inizio, un nuovo radicamento del progressismo in Sicilia.

Un radicamento che non può e non deve più essere meramente ideologico e idealistico ma semmai finalmente legato ai bisogni e alle prospettive, reali ed auto-centrate, della Società Siciliana.
Una Società quella Siciliana di cui va finalmente accettata la dimensione storica e nazionale. Dimensione che collide, non casualmente, con quella vulgata postuma, che è oggi additata ancora come storia, ufficiale ed ufficializzata, di una Sicilia italianizzata suo malgrado.
Ma la proiezione antisiciliana oggi non ha più senso storico né prospettiva alcuna.
Essa, infatti, non è né perseguibile né credibile.
A ben vedere può esistere solo nell’ambiente, controllato e chiuso, di una ideologia centralista, risorgimentalista ed antisiciliana, sottratto ad ogni confronto e contraddittorio.
Ideologia che crede ancora di poter rappresentare , ad esempio, la storia siciliana come se questa, la storia di un intero popolo, di una Nazione, fosse riassumibile e sintetizzabile, nella semplice monoliticità dell’esercizio di uno spirito reazionario o agrario tout court.
E’ questa una convinzione lecitamente esprimibile quanto scientificamente, socialmente e storicamente risibile.
Posizione è ovvio il cui nesso con la verità non è dimostrato né dimostrabile, ne oggi ne mai. A meno che come si accetti che Storia sia la proclamazione acritica di un qualsisasi dogma.
Ma proseguiamo la lettura dell’articolo. Scrive l’articolista “ Sono innumerevoli le occasioni che vedono la Sicilia negare ogni ipotesi di cambiamento ,nemmeno il referendum istituzionale che chiedeva di scegliere fra monarchia e repubblica riuscì a convincere i siciliani a votare contro il passato, anche se non amato.”
Ora al di là delle assodate convinzioni personali dell’Autrice ( che comunque rispettiamo ) qui in concreto si cita un solo evento, assumendolo a parametro e paradigma. Forse è un pò poco, o no?
Ma il dato più interessante è quando la giornalista, con forbitezza di parole e stile comunque interessante, avanza la sua teoria più insidiosa e diciamolo meno convincente. Scrive infatti: “ Ed è chiaro che solo una prospettiva ampia, di lungo periodo, è in grado di spiegarci le complesse cause strutturali che sono alla base di questo carattere.Il passato grava sempre sul presente, specie se rimane oscuro. In fondo incompreso ”.
Con questo inciso ci sta preparando al “ coup de théâtre”. Infatti, appena, nel successivo capoverso ecco sfolgorante la citazione dello storico d’oltralpe, Paul Bois, di cui cita ( la forbitezza è d’uopo) un libro di 37 anni fa.
Succo di tutto? L’idea, tutta indimostrata, che la Sicilia, tout court, sia una Vandea, anzi peggio di una Vandea.
Scrive l’articolista, infatti, che “i Contadini”di Bois , sono pur sempre contadini e “ Non cadono mai al livelli dei siciliani “braccianti” che sono sottoproletariato, sfruttati per secoli senza alcuna remora. Quando la società siciliana inizia la sua difficile modernizzazione, nell’età del risorgimento, sembra che i giochi siano già conclusi.
Si innalza la bandiera dell’autonomia, prima contro Napoli e poi a seguire,sempre a combattere quel “vento del nord” che coincideva con le riforme.”
Ecco che la giornalista in poche righe ha il pregio di sintetizzare, al peggio e quindi, a livello esemplare al meglio, il grumo intellettuale tipico dell’Antisicilianità neo lombrosiana e fors’anche differenzialista.
Qui devo dire che si sommano imprecisioni e approssimazioni enormi che intendo contestare tutte ed analiticamente.
Muoviamo con ordine. Sembra quasi che l’autrice ritenga che le turpi mire dei padroni sul sottoproletariato fossero quasi un esclusiva della Sicilia e dei Siciliani.
Eppure basterebbe la lettura di un discreto se non buono manuale di storia, molto meno impegnativo dell’interessante Bois, per rendersi conto, come riportano anche le mie antiche letture di formazione marxiane e marxiste, che la questione dello sfruttamento era, ed è anche oggi, tutt’altro che un esclusiva siciliana.
Ma procediamo oltre. L’autrice sembra accreditare l’idea che la modernizzazione sia iniziata con il cosiddetto “risorgimento”. Quel risorgimento ricordiamolo, che è lo stesso risorgimento che fu dei “picciotti” di mafia e dei loro mandanti.
Andrebbe vagliata dalla agguerrita giornalista l’ipotesi, documentata e per nulla peregrina, che la Sicilia fosse moderna e sviluppata, almeno al pari se non più di altre parti della penisola dello Stivale, ben prima dell’annessione all’arretrato, quello sì, Regno di Piemonte-Italia.
Se seguisse il filo di questo ragionamento Ella scoprirebbe, senza fatica, che l’annessione, segnò semmai l’inizio economico, sociale e politico di un evidente declino .
Quanto poi a quella che la giornalista , attualizzandola un po’ troppo ad oggi, chiama “la bandiera dell’Autonomia , si tratta di un Sentimento Nazionale, di un IO Collettivo che, da sempre, , rappresenta un “filo rosso” che percorre ininterrottamente la Storia della Sicilia, della Nazione Siciliana.
In merito poi al cosiddetto “vento del nord” si è trattato per Noi Siciliani, alla luce dei fatti, più che di una benedizione di Eolo di un mefitico SCIRUCCAZZU!


Sembra quasi che non si vogliano non si sappiano contornare le vere cause strutturali dell’attuale sottosviluppo in cui versa la Sicilia che è frutto di una sciente politica di Imperialismo e Colonialismo Interno alla forma-stato Italia.
Un sottosviluppo che invece certi settori progressisti ancora attribuiscono nonostante tutto ad una sorta di presunta irredimibilità antropica ed antropologica dei Siciliani.
Si tratta di un errore strategico dall’enorme portata che se non spiega tutto, spiega molto riguardo la debolezza di certo progressismo in Sicilia, nell’arcipelago siciliano.
Infine l’Autrice ( di cui nessuno nega l’assoluta buona fede né il diritto a pensarla come meglio crede) termina il suo piccolo ma completo “sillabo antisiciliano “ con un inciso finale “ […]Ogni eventuale progresso rischiava di trasformarsi in un montarsi la testa che a tutti sembrava pericoloso. Meglio mantenere i siciliani poveri, ignoranti e timorati di Dio. E’ stato così per secoli, noi siamo figli di questa storia.”
Ora sappiamo e abbiamo spiegato che la Storia che l’Autrice coltiva è altra da quella STORIA condivisa fatta di e da riscontri STORIOGRAFICI che Noi conosciamo e riconosciamo, quando si scrive e parla di Sicilia.
Pur tuttavia, fuor d’ogni polemica, vogliamo concludere questo nostro intervento avendo presente un pensiero di Michele Amari, che ammoniva i Siciliani ricordando che la Coscienza Nazionale Siciliana è un modo di partecipare ai moti profondi di rinnovamento e libertà.





Prof. Fabio Cannizzaro
Vice Segretario du
Frunti Nazziunali Sicilianu




FRUNTI NAZZIUNALI SICILIANU –SICILIA INDIPINNENTI
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