lunedì 1 settembre 2008

QUESTIONE DI STILE E QUESTIONE DI SOSTANZA…

Cari amici Noi de “laquestionesiciliana” vi proponiamo contestualmente prima la lettura di un articolo pubblicato lo scorso 29 agosto c.a. dal quotidiano “Il Manifesto” e di seguito una CHIOSA di risposta, da parte indipendentista, allo stesso articolo a firma di TRINAKRIUS, che de“laquestionesiciliana” è assiduo aiuto.



Dio, patria e famiglia




di Alessandro Portelli
su Il Manifesto del 29/08/2008

Dicevano gli antichi che quelli che gli dei vogliono far perdere prima li fanno impazzire. Avevano torto: qui più impazziscono e più continuano a vincere. Forse perché insieme con loro stiamo diventando tutti matti e siamo saliti come un sol uomo su una macchina del tempo che scivola a rotta di collo verso un passato sempre più remoto. Nell'universo del «di tutto di più», non basta il già demodé revisionismo anti-antifascista: «le ideologie del Novecento sono finite», ha proclamato Giulio Tremonti al meeting di Comunione e Liberazione. E con esse non solo il comunismo e il fascismo, ma «anche il liberismo. Bisogna tornare ai grandi valori dell'Ottocento» - o anche più indietro, al grido sanfedista di «Dio patria e famiglia». In un certo senso, già c'eravamo avviati. Basta pensare alla straordinaria idea di abolire i contratti collettivi e tornare ai bei tempi del contratto individuale, nella settecentesca finzione di uguaglianza contrattuale fra lavoratore e impresa. O alle lambiccate leggi elettorali che a mano a mano erodono quell'obbrobrio novecentesco chiamato suffragio universale con la folle idea che una testa valesse un voto. O alla restaurazione dello ius speciale dell'impunità per il sovrano. O al ritorno all'educazione gestita dalla Chiesa e articolata per censo, i poveri all'avviamento e i benestanti al liceo privato. O all'idea che esistano razze inferiori da rinchiudere ed emarginare. Fino adesso facevamo finta che tutto questo si chiamasse modernità, governabilità, mercato - liberismo, appunto. Grazie a Tremonti e all'aria che tira, adesso possiamo chiamare le cose col loro nome: restaurazione e utopia reazionaria. Anche questa è libertà. Però Tremonti deve stare attento. Certo, anche l'800 aveva le sue magagne - schiavitù, colonialismo... - ma non credo che lo disturberebbero più di tanto. Piuttosto, nel suo precipitoso viaggio nel tempo rischierebbe di imbattersi in ostacoli di altro genere, magari, di andare a sbattere su una cosa ottocentesca chiamata Comune di Parigi, su un brigante lucano di nome Ninco Nanco, su un dimenticato filosofo ottocentesco chiamato Carlo Marx, e persino su un capellone anticlericale in camicia rossa di nome Giuseppe Garibaldi.Su questo, per fortuna, ci stiamo già lavorando. Non bastasse la Lega che ce l'ha con Garibaldi per avere contribuito a unificare l'Italia, adesso ci si mettono anche i nostalgici nazionalisti siciliani. Così, il sindaco di Capo d'Orlando ha preso letteralmente in mano il piccone e ha demolito la targa della piazza del paese intitolata a Giuseppe Garibaldi. Intanto un altro sindaco della stesa sventurata terra, a Comiso, ha deciso che intitolare l'aeroporto al comunista Pio Latorre, ucciso dalla mafia (a proposito, stiamo tranquilli: nell'800 la mafia c'era già) è un'offesa all'identità patriottica, e restaura il nome assegnatogli ai bei tempi fascisti del 1937, quello di un generale d'aviazione morto in Etiopia - non senza, speriamo, avere debitamente irrorato quel primitivo paese africano con civilizzatori gas e bombe a frammentazione.In fondo, il sindaco di Capo d'Orlando è al passo coi tempi: la cosa ottocentesca su cui stiamo tutti lavorando alacremente è la restaurazione dell'Italia pre-1860, pluralità di staterelli di dimensione regionale e comunale, con al centro il potere temporale dei papi tanto rimpianto da Bagnasco (io comunque mi iscrivo fin d'ora al Granducato di Toscana). Perché dire '800 è già dire troppo: il diciannovesimo secolo che ha in mente Tremonti è quello degli inizi, della Santa Alleanza, del trattato di Vienna, di Talleyrand e di Metternich, di quelle belle guerre fra piccole grandi e medie potenze di cui infatti già assistiamo al revival. Ma una volta preso l'abbrivio, perché fermarsi? Saltiamo a pié pari i blasfemi lumi del '700, soffermiamoci un momento sui bei tempi della controriforma seicentesca, e visto che ci siamo arriviamo felicemente a quel «Medioevo prossimo venturo» di cui da tanto si favoleggia. E che tanto piace alla Lega e Alberto di Giussano. Con un problema, però: dopo tutto, nel Medioevo c'erano Francesco (che non cacciava i mendicanti da Assisi), Dante, Petrarca, Boccaccio, Giotto, Simone Martini... Oggi temo che non ci bastino Tremonti, Sgarbi (altro sindaco siciliano, a proposito) o Marcello Veneziani. C'è rischio che a forza di andare nel passato ci si accorga di quanto fa schifo il presente. E se siamo in tanti ad accorgercene, chissà che non succeda - come dicevano agli antichi - un Quarantotto...




FONTE: www.esserecomunisti.it/





ED ECCO ORA UNA CHIOSA UTILE E NECESSARIA DI COMMENTO ALL' ARTICOLO PUBBLICATO DA “IL MANIFESTO” CHE CHIAMA DIRETTAMENTE IN CAUSA LA NOSTRA AREA POLITICO-CULTURALE, DELINENANDO UN CONTESTO NON LUSINGHIERO E SOPRATTUTTO NON VERITIERO PER L’INIZIATIVA POLITICA INDIPENDENTISTA SICILIANA




Abbiamo letto, con attenzione, l’articolo di Alessandro Portelli evocativamente intitolato “Dio, patria e famiglia” (e qui sopra riportato integralmente) e devo dire che come Indipendentisti e Travagghisti troviamo il “pezzo” rivelatore e paradigmatico di un modo di vivere e intendere da “gauche” la QUESTIONE SICILIANA.

Ora qui certo ciò che ci fa riflettere non è tanto la complessiva sottovalutazione della Questione Siciliana o il fatto di non comprendere la sua peculiarità come Questione Nazionale ,quanto la disinvolta volontà di unire e fare un UNICUM di eventi e fenomeni politicamente, socialmente e culturalmente diversi tra loro; cosa che però non impedisce a Portelli di unirli, affastellarli e mischiarli in un mixato Teorema- Dogma indimostrato poiché indimostrabile.

Ben inteso che la nostra visione ideale, politica non abbisogna del plauso o peggio dell’ imprimatur di nessuno, poiché ha il suo fondamento nella storia e nel divenire stesso della Sicilia e dei bisogni politici e sociali del nostro Popolo.

E pur tuttavia ci fa pensare ed è comunque paradigmatico il fatto che anche un quotidiano come “Il Manifesto”, cui pur nella diversità sempre abbiamo riconosciuto libertà e profondità di analisi e curiosità intellettuale, non trovi di meglio e non sappia far meglio che parlare degli oramai noti“ fatti ”di Capo d’Orlando aggregandoli e uniformandoli molto affrettatamente con eventi che hanno ben poca attinenza con essi.
Diciamo pure che mettere in relazione la querelle sulla reintitolazione della piazza paladina e la successiva polemica sulla Verità storica ( dato che il vero revisionismo storico è quello apocrifo voluto dai risorgimentalisti ) con fatti ed eventi come: “il già demodé revisionismo anti-antifascista”, o ancora avvicinare la polemica Orlandina alla Weltanschauung Tremontiana di “Dio patria e famiglia” è sinonimo di una stiracchiata volontà di generalizzazione che, in verità, ci poteva essere risparmiata.
Fa, difatti, specie che un quotidiano comunista e una volta anche in virtù di ciò anticonformista si schieri in difesa di una figura equivoca e fors’anche equivocata quale indubbiamente è quella di Giuseppe Garibaldi.
Figura che Portelli, bontà sua, epiteta come “capellone anticlericale” senza per questo riuscire a renderlo né più simpatico né meno controverso.
Ed ecco, poi, giungere l’affondo che più da vicino ci riguarda, che ambirebbe ad essere una sorta di chiosa senza appello: “[…]Su questo, per fortuna, ci stiamo già lavorando. Non bastasse la Lega che ce l'ha con Garibaldi per avere contribuito a unificare l'Italia, adesso ci si mettono anche i nostalgici nazionalisti siciliani.
Così, il sindaco di Capo d'Orlando ha preso letteralmente in mano il piccone e ha demolito la targa della piazza del paese intitolata a Giuseppe Garibaldi.[…]”
Beh davvero ci si poteva attendere di più da un area politco-culturale che si definisce comunista e marxista.
E invece come da copione l’Autore mostra di non aver compreso per nulla, neppure lontanamente, il senso della questione che si è dibattuta e ancora si dibatte a Capo d’Orlando.
Questo dapprima compie una comparazione, non originale e di nessun valore, perché smentita dalla prassi e dalla nostra azione e tradizione ideale e politica , tra il leghismo etnicheggiante e l’ Indipendentismo siciliano di matrice politica, popolare e culturale.
Ma del resto sembra che nell’articolo si faccia poca attenzione alle diversità tant’è che vi veniamo bollati in modo voluto e generico, semplicemente come “nostalgici nazionalisti siciliani”.
Risponderemo ,all’articolista scrivendo che certo, siamo apertamente, orgogliosamente, SICILIANI, poiché parte di un Popolo antico , riconosciuto e laborioso ma per nulla malinconici né tanto meno meramente sciovinisti.
Noi siamo Indipendentisti e Patrioti siciliani.
Ed in virtù di ciò pacifici, antimafiosi e apertamente democratici e tutt’altro che passatisti.
E’ questa la connotazione che delinea e determina quotidianamente l’azione di lu FRUNTI NAZZIUNALI SICILIANU – SICILIA INDIPINNENTI ( F.N.S. ),partito-movimento politico Indipendentista democratico, progressivo e pacifista e FOCUS TRINAKRIA , think tank e sodalizio culturale di matrice più distintamente TRAVAGGHISTA ( cioè Socialista).
L’Articolista prosegue e scrive immediatamente dopo: “[…]Intanto un altro sindaco della stessa sventurata terra, a Comiso, ha deciso che intitolare l'aeroporto al comunista Pio Latorre, ucciso dalla mafia (a proposito, stiamo tranquilli: nell'800 la mafia c'era già) è un'offesa all'identità patriottica, e restaura il nome assegnatogli ai bei tempi fascisti del 1937, quello di un generale d'aviazione morto in Etiopia - non senza, speriamo, avere debitamente irrorato quel primitivo paese africano con civilizzatori gas e bombe a frammentazione.In fondo, il sindaco di Capo d'Orlando è al passo coi tempi […]”
Crediamo ciò sia non corretto e fuorviante visto che offre ai lettori de “Il Manifesto” un quadro in cui si associa la querelle di Capo d’Orlando con un altro evento, diversissimo (davvero per nulla accomunabile) come è quello legato alla succitata discutibilissima decisione presa dal Sindaco di Comiso, altra città siciliana.
Vorremmo, inoltre, ricordare al Manifesto che Noi du F.N.S. fummo tra i primi ad essere ed a manifestare a Comiso, seppure su una nostra piattaforma, indipendente e indipendentista, ( meno “intersecata” con gli equilibri geopolitici e ideologici di allora) ma pur sempre accanto a Pio LaTorre, contro i Missili,schierati ( sopra e oltre la volontà dei Siciliani) nella Terra di Sicilia.
Detto ciò poi troviamo davvero paradigmatico il tentativo di accreditare questa sorta di “liason” tutt’altro che lineare secondo una banale logica sillogistica.
Poco male! Ed ecco infine il “coup de Theatre “ che vorrebbe essere tra l’ironico e il salacemente sardonico.
Così attraverso questo successivo passaggio l’Autore ci informa delle sue ascendenze toscane, e, bontà sua , spara questa bordata e scrive: “[…]In fondo, il sindaco di Capo d'Orlando è al passo coi tempi: la cosa ottocentesca su cui stiamo tutti lavorando alacremente è la restaurazione dell'Italia pre-1860, pluralità di staterelli di dimensione regionale e comunale, con al centro il potere temporale dei papi tanto rimpianto da Bagnasco […]”
Ecco , dunque, dopo avere evocato, come convitato di pietra, il Vaticano, richiamando ipotesi neogiobertiane ecco ulteriormente, secondo un ragionamento ironicamente stereotipato, proporre di non limitare all’ ‘800 il processo di studio e riappropriazione storica della Memoria: “[…]Saltiamo a pié pari i blasfemi lumi del '700, soffermiamoci un momento sui bei tempi della controriforma seicentesca, e visto che ci siamo arriviamo felicemente a quel «Medioevo prossimo venturo» di cui da tanto si favoleggia. E che tanto piace alla Lega e Alberto di Giussano. […]”
Il giornalista prova secondo un copione noto a banalizzare e così disarticolare il senso della questione e così facendo non coglie che se oggi tanto si scrive e discute di “Risorgimento” ciò dipende forse dal clima di censura e intimidazione che per decenni avvolse coloro che coraggiosamente affermavano una vera “controstoria” della Sicilia e delle sua Masse Popolari.
E così chi rifletteva criticamente sul cosiddetto “periodo risorgimentale” finiva per pagare prezzi personali e politici enormi.
Oggi che invece finalmente si può analizzare quel periodo storico senza la pesante ( e spesso a-pensante) ipoteca del revisionismo apocrifo del “Risorgimento “ patriottardo e questo sì nazionalista, emergono le Verità celate troppo a lungo.
Portelli legga e si informi e se poi vuole rilegga, e rileggano con lui i compagni de “Il Manifesto” anche le illuminanti pagine scritte da tale Antonio Gramsci, intellettuale sardo e comunista” sul Separatismo siciliano quando nella Italia Nazione dominava il FASCISMO, e poi pubblicate sul "Risorgimento" (Torino 1949), 12 anni dopo la sua morte.
Ve ne riproponiamo , convinti che non sia inutile o retorico, un breve, indicativo, passo:“ Ciò che è interessante, in questa letteratura siciliana, giornalistica e libresca, è il tono fortemente polemico e irritato (unitarismo ossessionato). La questione invece dovrebbe essere molto semplice, dal punto di vista storico: il separatismo o c'è stato o non c'è stato o è stato solo tendenziale in una misura da determinarsi secondo un metodo storico obiettivo, astraendo da ogni valutazione attuale di polemica di partito, di corrente o di ideologia; la ricostruzione delle difficoltà incontrate in Sicilia dal moto unitario potrebbero non essere maggiori o diverse da quelle incontrate in altre regioni, a cominciare dal Piemonte. Se in Sicilia il Separatismo ci fosse stato, ciò non dovrebbe essere storicamente considerato nè riprovevole, nè immorale, nè antipatriottico, ma solo considerato come un nesso storico da giustificare storicamente e che in ogni modo dovrebbe servire ad esaltare di più l'energia politica degli unitari che ne trionfarono. Il fatto che la polemica continui accanita ed aspra significa dunque che sono in gioco "interessi attuali" e non interessi storici, significa in fondo che queste pubblicazioni tipo Natoli dimostrano esse stesse proprio ciò che vorrebbero negare, cioè il fatto che lo strato sociale unitario in Sicilia è molto sottile e che esso padroneggia a stento forze latenti "demoniache" che potrebbero anche essere separatiste, se in questa soluzione, in determinate occasioni, si presentasse come utile per certi interessi. Il Natoli non parla del moto del '66, e tanto meno di certe manifestazioni del dopoguerra, che hanno pure un valore di sintomo per rivelare l'esistenza di correnti sotterranee. che mostrano un certo distacco tra le masse popolari e lo Stato unitaro, su cui speculavano certi gruppi dirigenti. “

Chiarito e contornato ciò davvero troviamo che anche, soprattutto, a sinistra, manchi il senso del rapporto inestricabile tra storia, presente e futuro che proprio in questo rapporto logico si possono trovare ragioni di senso per un futuro diverso per la Sicilia e i Siciliani.
Un futuro che non veda più l’Arcipelago siciliano come mercato di assorbimento e colonia del capitalismo familistico del Nord Italia e dei suoi ascari siciliani e dei vari manutengoli mafiosi o para tali .
Ed è davvero l’atteggiamento insito nell’articolo de “il Manifesto“ un esempio da manuale che segnala, cosa non nuova nella storia del movimento operaio, l’essere operante, nei confronti della Sicilia,dei Siciliani di una vera e propria sindrome di NIMBY ( acronimo per Not in my Backyard – Non nel mio giardino).
Dobbiamo constatare, dunque, non senza malinconia, che il quotidiano dell’area comunista fa, a priori, riguardo a temi come: l’Autodeterminazione, le Lotte Nazionali l’impegno per la Verità Storica e il diritto all’esistenza delle Nazioni senza Stato valutazioni ideologiche,politiche di merito ed è lecito pensare anche legate a ragioni di “congruità nazionali e nazionaliste italiane” alla faccia di internazionalismo e/o cosmopolitismo.
Sembra davvero di assistere a un “refrain” del comportamento messo in atto , in anni lontani del XX° secolo, dal PCF d’oltralpe riguardo la questione indocinese.
Detto ciò sappiano i compagni del Manifesto che la Causa dell’Autodeterminazione della Sicilia e della libertà e prosperità della Sicilia e dei Siciliani, dei suoi travagghiaturi ( intesi come lavoratori ma anche come disoccupati,precari, giovani e donne) passa anche per il superamento dei vecchi pregiudizi quelli sì revisionisti e anti-siciliani legati talvolta anche a indotti e introiettati concetti neo-lombrosiani diffusi anche nel movimento operaio del Centro Italia e del Nord continentale .
Nella nostra lotta noi ci rifacciamo direttamente alla tradizione democratica siciliana e sicilianista dei Fasci Siciliani dei Lavoratori e del migliore Indipendentismo siciliano.
Ambiamo, inoltre, a determinare pacificamente una Sicilia senza mafia e per dirla con Antonio Canepa appunto “ senza sfruttati né sfruttatori”.
E ciò sia con il plauso del vostro quotidiano che no, esso è, infatti, questo sia chiaro un dato meramente quanto palesemente “sovrastrutturale”.




TRINAKRIUS







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