Caro Direttore,
So bene che Ella, il suo Giornale avete una vostra ben delineata linea editoriale sulla Sicilia e la sua storia, tuttavia so di potere sperare e contare sulla sua professionalità e deontologia.
In quest’ottica ho la speranza che Ella vorrà e saprà dare spazio, a questa mia nota dialetticamente opposta e comunque pari nel tono generale a quelle che il suo giornale ha pubblicato, in ben due pagine, nell’edizione di Palermo, quando ha presentato quanto scritto da Giuseppe Casarrubea, Pippo Russo e Umberto Santino sul cosiddetto “revisionismo storico”.
Risponderò per motivi d’opportunità e spazio ad ambetre gli articolisti in un unico intervento anche se premetto che il diverso senso e tono avrebbero meritato specifiche, distinte disamine.
La decisione del Sindaco paladino, Sindoni di reintitolare la piazza antistante la stazione ferroviaria cittadina mutandone l’intestazione da Giuseppe Garibaldi in quella di IV luglio 1299 ( anno di un importante battaglia navale per il Regno di Sicilia ) ha scatenato una forte, fortissima polemica.
In breve la polemica ha abbandonato i confini orlandini e grazie anche all’interessamento del “ Corsera”, della TV italiane e poi del “Times” di Londra ha scatenato un putiferio che è andato ben oltre i confini siciliani.
I tre interventi a cui faccio riferimento sono stati, per l’appunto, ospitati questo mercoledì, 6 agosto, dall’edizione di Palermo de “ La Repubblica”, e sono un capitolo, forse neppure l’ultimo di questa lunga, appassionata querelle.
Ciò che caratterizza questi tre interventi è, a mio avviso, l’evidente irruenza antisicilianista che li caratterizza.
Il sicilianismo è da costoro inteso, percepito e veicolato come una sorta di sintesi di tutti i mali siciliani.
Direi che questa è un’ingenerosa generalizzazione che però testimonia di un clima d’isteria che pervade ampi settori dell’intellighenzia e della politica centralista in Sicilia.
Da molto, troppo tempo questi settori si sono adattati ad un’ampia, vissuta autoreferenzialità che li porta a pensare e vedere la realtà siciliana esclusivamente con le loro “lenti colorate”.
Diciamo subito che una certa predisposizione alla “partigianeria” emerge già gridata negli occhielli e nei titoli dei tre “pezzi”.
Tuttavia e malgrado questa propensione, dal mio angolo visuale, gli articoli vanno in ogni caso letti perché sono testimonianza di un atteggiamento, di una “forma mentis” molto diffusa nell’intellighenzia engagé e di potere, centralista e antisiciliana.
E sì perché va detto che i “fatti di Capo d’Orlando” hanno in ogni modo, appunto, il merito di avere squarciato un velo di silenzio, voluto ed imposto, sulla storia, la memoria e l’identità della Sicilia e del suo Popolo.
Certo un simile repentino, inatteso clamore ha trovato impreparati proprio quelli che per tradizione, abitudine, pigrizia o rachitismo e interesse non vogliono neppure pensare che la storia ufficiale della Sicilia, come oggi è veicolata, possa essere falsa, apocrifa e negazionista.
Ed è proprio quello che è successo quando il Sindaco Sindoni ha reintitolato la piazza della stazione.
I “chierici”, gli intellettuali engagé sicuri nelle loro “ortodossie”, ereditate e mai veramente meditate, si sono visti travolgere dal consenso che l’opinione pubblica accredita concretamente alla posizione sostenuta dal Sindaco orlandino.
Quando poi un giornalista siciliano, per nulla sicilianista ma attento alle notizie, su un noto quotidiano, ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica italiana la querelle sino allora solo paladina, quei settori, ideologizzati e pro-garibaldini, si sono visti scoperti e impreparati. La reazione è stata da manuale: gridata, ostentata e autoreferenziale.
Quando poi, con un effetto domino, l’articolo del noto giornale ha scatenato la curiosità delle maggiori TV e della stampa estera, costoro si sono sentiti in dovere di difendere la “bandiera”, e specie nel mondo politico, di dire la loro e prendere posizione sulla questione.
E così tutto rischia di ridursi ad uno schierarsi di mero stampo calcistico. Pro e Contro sono divenuti i punti di riferimento davvero sconfortanti della questione.
Ed è in quest’ottica “tradizionale” che Sindoni ha raccolto la solidarietà del Presidente della Regione o anche quella del leghista Borghezio, mentre, va detto, molti altri si sono schierati dalla parte dei “garibaldini” ( Idv, PS ecc..).
Più però i settori politici, burocratici e culturali di potere manifestano la loro devozione filo-garibaldina e più l’opinione pubblica siciliana (e no) mostra di comprendere veramente il senso delle cose e soprattutto delle forze in campo.
E così si giunge ai tre interventi de “la Repubblica” edizione di Palermo.
In quello a firma di Pippo Russo va apprezzata, lo scrivo con sincerità, la sua capacità di scrivere sul cosiddetto “revisionismo” storico siciliano, come viene definito, senza entrare neppure minimamente nel merito dei fatti, storici e no, che hanno ispirato questa polemica.
Russo non cita un solo evento a difesa e testimonianza dell’idea ufficiale ed ufficializzata di Risorgimento che vuole conservare, quasi “imbalsamare” ad infinitum.
Alla luce di ciò temo di cominciare a nutrire più di un dubbio sulla Sua volontà di verità storica e sulla volontà di Questo di giungere ad essa attraverso fonti, atti e fatti concreti.
Ciò su cui invece non ho alcun dubbio è la sua doviziosa capacità d’essere maestro in un sociologismo manierato quanto antisiciliano.
Mi compiaccio con Pippo Russo, che non ho l’onore di conoscere, che Egli trovi inoltre tempo da dedicare anche a riflessioni linguistiche e/o meta-ortografiche, al punto che se queste sue note avranno successiva fortuna Egli diverrà, senza difficoltà, il post-Pitrè del XXI° secolo globalizzato.
Tuttavia non possiamo non dire che ci fa onore che il senso completo di un siffatto, paradigmatico ragionamento, così poco moderno e progressista, prenda la stura dall’analisi di una sigla: SICILIA INDIPINNENTI che con tutta evidenza coincide con quella dell’organizzazione politica in cui mi onoro di militare: ‘u FRUNTI NAZZIUNALI SICILIANU – SICILIA INDIPINNENTI.
E’ arguto, riconosciamolo, il tentativo operato da Russo di insinuare ( cosa ben più facile e sinuosa che affermare ) che esisterebbero una serie di lingue e identità quante sarebbero le provincialità e i comprensori siciliani.
Tuttavia Russo non è né originale né il primo a tentare questa un simile approccio disarticolante.
Dobbiamo dire che questo tipo di “reazione” è una prassi nota tipica di tutti i colonialismi e che, in concreto, poi si riduce a poco più di una boutade intellettualistica.
Ci spiace doverle ricordare a Russo che i Siciliani, al di là e oltre le ovvie, naturali varianti ortografiche territoriali, intendo e comprendono comunque la lingua siciliana e si comprendono tra loro in tutta la Sicilia.
I Siciliani, infatti, ben sanno d’essere parte di un Popolo, di una Nazione europea e mediterranea.
Una Nazione, appunto, antica, riconosciuta che ha una peculiare tradizione culturale, linguistica conclamata anche se diversificata.
Sarebbe bene che Russo se ne facesse una ragione e riflettesse su ciò.
Passerò ora a proporre alcune veloci chiose su quanto ha scritto Umberto Santino. L’articolo di Santino offre, infatti, interessanti spunti di critica e confronto. Come, ad esempio, quando l’animatore del Centro Impastato scrive facendoci sapere che Egli ha le idee chiare su cosa vuole il sicilianismo.
Io trasalgo e tendo bene le orecchie. Io che, infatti, in quest’area milito da quasi un quarto di secolo, ancora non ho ancora acquisito la sua sicurezza e sicumera su quello che il Sicilianismo monoliticamente vorrebbe. Cosa che invece Santino ostenta di ben comprendere e sapere.
Santino afferma cose forse verosimili ma non certo vere.
Se, Egli, davvero ci considera tutti “automi “ al servizio della strategia lombardiana, non solo sbaglia manifestamente ma offende prima di tutto la sua stessa credibilità di studioso, politologo ed intellettuale.
Chiunque abbia frequentato o realmente studiato l’area sicilianista sa che è più onesto dire che, oggi, il sicilianismo, quest’area politico-culturale è divisa, traversata appunto da tradizioni, scelte e forme organizzative diverse e spesso tra loro antitetiche.
Il sicilianismo può essere dunque oggi rappresentato, più e meglio, come una nebulosa.
Non so cosa le altre organizzazioni vogliano, ricerchino io qui mi limiterò a parlare solo a nome del mio partito: ‘u Frunti Nazziunali Sicilianu – Sicilia Indipinnenti e dell’area indipendentista democratica.
Noi esistiamo dal 1964 (ben prima della lega, del Leghismo) siamo democratici, pacifici, schiettamente, apertamente antimafiosi e socialmente progressisti quanto apertamente indipendentisti.
Io quindi credendo nella buona fede di Santino lo invito ad andare oltre la rituale ripetizione di vecchi pregiudizi e solfe sul “separatismo” agrario ( ma potevano i censiti 400.000 iscritti separatisti degli anni ’40 del secolo scorso essere tutti agrari? ) e filo mafioso e a pensare operosamente a studiare la realtà ideale e politica dell’Indipendentismo Siciliano di allora e di oggi senza preconcetti.
Per chiarire ogni possibile equivoco sappia Santino che Noi oggi siamo tra i pochi che hanno ancora la forza, la volontà e il coraggio di dire che la lotta alla mafia è precondizione per qualsivoglia azione politica in Sicilia e per la Sicilia.
A ciò si aggiunga anche che Noi siamo tra i pochissimi partiti a non avere mai avuto cointeressenze né con la mafia né con qualsivoglia forma di malaffare.
Quanto poi a quella che Santino avanza retoricamente come “ una modesta proposta”, anzi una serie di proposte e cioè quelle: di intervenire sul monumento dedicato a Palermo, a Francesco Crispi, di cancellare su di esso la scritta “ la monarchia ci unisce”, di arretrarlo e di affiancargli un qualcosa che ricordi i massacri dei Fasci Siciliani dei Lavoratori.
Sorprenderemo forse Santino ma Noi siamo perfettamente d’accordo.
Vorremmo però che Tutti e quindi anche Santino avessero la costanza e la coerenza di aggiungere che quei Siciliani, quelle donne e quegli uomini, erano socialisti e sicilianisti.
Se non vuole credere a Noi l’informato Santino si ricordi degli studi di Massimo Gangi (che non era un sicilianista) e della “riscoperta” compiuta da questo del famoso oramai “Memoriale Codronchi” in cui i Fasci Siciliani chiedevano Autonomia per la Sicilia e rispetto della Sicilianità.
E’ questa una parte della storia siciliana che c’è stata anch’essa sottratta quando il socialismo marxista dogmatico continentale dei vari Filippo Turati, Ivanoe Bonomi e Camillo Prampolini( quello che divideva gli italiani, bontà sua, in sudici e nordici) imposero un’osservanza risorgimentale e nordista ( oggi diremmo padana )al già sviluppato socialismo siciliano.
Di tutto ciò e di molto altro siamo disposti sempre e comunque a parlare, peccato però che molti sfuggano sistematicamente il confronto preferendo i soliloqui.
Infine vorrei chiosare l’ultimo periodo dell’articolo di Santino che mi ha lasciato perplesso non poco.
Egli testualmente scrive: “ Questi segni gioverebbero a ricordare eventi dimenticati e probabilmente invoglierebbero a conoscere un po’ meglio la storia della Sicilia, senza sicilianismo”.
Non ci può essere, non ci potrà mai essere una storia della Sicilia, Caro Santino, senza sicilianismi.
Se ne faccia una ragione, rifletta sul fatto che scrivere ciò, di fatto, equivale ad affermare che può esistere una storia della Sicilia senza i Siciliani.
E’ evidente qui, tornano in mente, esempi famosi di quando con certi giochi linguistici taluni scrivevano e scrivono di essere “antisionisti” ma poi intendo dire “antisemiti” nascondendosi poco nobilmente dietro le parole.
Qui si tratta esattamente della stessa cosa, dietro vi è la stessa identica logica.
Se ne faccia una ragione Santino, il Sicilianismo è insito nella storia Siciliana ed da essa inestricabile.
Ciò che invece non è connaturato è lo stato di sudditanza politica e culturale della Sicilia dai poteri politico –economici forti e dalla mafia e del malaffare.
Non è connaturato neppure quel certo vezzo neo-lombrosiano che vorrebbe la Sicilia razzisticamente quasi irredimibile.
Sappia comunque Santino che essere Siciliani non è un destino né una condanna, quindi se vuole si “dimetta” ma non chieda agli altri di rinunciare al proprio Io collettivo.
Quanto poi all’intervento di Giuseppe Casarrubea vorrei stigmatizzare l’affermazione avanzata da Questo e del resto presente anche in altre parti di questa doppia pagina, secondo cui Sindoni altro non sarebbe altro che un esecutore, o come Casarrubea mette nero su bianco un “capomastro” del “Deus ex Machina “, dell’ineffabile Raffaele Lombardo da Grammichele.
Ad oggi nulla del genere mi risulta. Credo, in attesa di essere smentito, che si tratti di una facile generalizzazione che finisce per ridurre i termini della questione ad mero problema di polemica politica.
In realtà non è così. Qui in ballo c’è, caro Casarrubea, molto di più di quanto Lei vede o voglia ammettere.
Ho però apprezzato il suo distinguo quando Lei afferma di non potere mettere le mani sul fuoco sull’onorabilità della tradizione agiografica che si richiama a Garibaldi Giuseppe da Nizza ( oggi Nice in Francia ).
Vede caro prof. Casarrubea, Ella non fa altro che gettare in sociologia, in chiave di liberazione sociale ciò che invece è logicamente, strettamente connesso alla stessa ragion d’essere della “questione garibaldina” e più in generale della riflessione storiografica sulla Sicilia.
Per restare sui termini della questione oggetto dei fatti di Capo d’Orlando appare evidente che in Sicilia non si sviluppò lo sforzo volontaristico di un singolo uomo geniale e volitivo come si è troppo a lungo sostenuto quanto più, qui, si dipanò l’azione sciente e coordinata di una superpotenza ( l’Inghilterra del 1860 ) che adoperò uno stato fantoccio ( il Regno del Piemonte ) per mantenere il suo controllo, oggi diremmo, geopolitico sul Mediterraneo.
Professore Casarrubea, a mio avviso, Lei liquida troppo velocemente, troppo scontatamente, i tanti, troppi difetti che non può anche volendo negare all’azione diciamo non coerente del Garibaldi e dei suoi sodali.
Certo Ella non può negare l’eccidio di Bronte, Ella non può negare il fatto, concreto testimoniato e testimoniabile, dell’essere i Garibaldini non una forza di liberazione e di emancipazione sociale ma un mal dissimulato strumento di colonialismo politico e di una collegata sopraffazione sociale.
Ella inoltre non può neppure negare che la scuola italiana ha sempre evitato accuratamente di parlare di ciò. Si è sempre taciuto poi glissato e si preferisce ancora oggi far silenzio su questi temi.
I cattivi maestri certo sono colpevoli ma la loro azione non è stato un atto di pervertimento personale o di ricercato volontarismo di singoli o gruppi ma una sciente, dimostrata volontà sostenuta e perorata, fino a qualche decennio fa, da un sistema culturale ufficiale monocratico e monoculturale.
Prof. Casarrubea, mi spiace non poter poi concordare con Lei sul fatto che esisterebbe un Garibaldi tutto da scoprire.
Se ne faccia una ragione professore, di Garibaldi finalmente si sono scoperte tutte le malefatte, tutte le ingenerosità e le tante viltà e piccolezze.
Altro se si scoprirà sarà solo a conforto del reale volto del Nizzardo.
Il Dittatore Ella sostiene fece la stessa fine dei viceré. Non è esattamente così.
Mi spiego meglio. Professore ha ragione parzialmente quando afferma che il comportamento del DITTATORE ( dunque non un libertador ) voleva essere eguale e simile a quello dei vecchi viceré. Egli dunque non venne qui né per cercare il riscatto della Sicilia né tanto meno quello delle sue masse popolari.
Più prosaicamente gli fu “subappaltato” un putsch antiborbonico, preparato, pianificato attentamente dai “servizi” inglesi e dai loro sodali piemontesi.
Lui non fece dunque la stessa fine dei Viceré egli fu peggio di qualsivoglia Viceré.
Fu un un “provocatore”, inviato a ingannare le energie sane che speravano di liberare la Sicilia dal giogo borbonico per restituirla alla sua Indipendenza nazionale.
Ci scusi poi se non la seguiamo nel suo ragionamento quando Ella dopo aver ricordato la scomparsa di Ippolito Nievo, testualmente afferma: “ Così finì una storia e ne cominciò un’altra o continuò quella di sempre, con le sue prerogative, i re Normanni, le glorie della Sicilia monarchica, l’autonomia e ora il federalismo. Cose che mi sembrano “interessate” se pensiamo alla dimensione globale delle battaglie del nostro eroe.”
Caro Professore, nel merito, le vorrei chiedere: Ci spieghi la continuità tra i poteri che Lei evoca, invoca e accomuna non Le sembra essere una facile generalizzazione che finisce per accostare dati diversi e con essi, cosa più grave,vittime e carnefici.
Ad ognuno sono convinto, nel bene come nel male, vanno contestate, sempre e solo, le proprie, oggettive responsabilità.
E certo non possiamo accusare il Popolo Siciliano, nella sua interezza, di essere immobile o immobilista. La verità è un’altra.
Le elité legate al nuovo potere, piemontese e italiano poi, hanno loro concrete responsabilità che non possono certo essere così tranquillamente scaricate sul Costituzionalismo siciliano né sulla nostra tradizione statuale ( allora in quasi tutto il mondo declinata nella forma monarchica) .
Quanto poi all’insinuante affermare che alla Sicilia rimasero le vecchie prerogative, abbia il coraggio, Professore, di scrivere e dire che le uniche prerogative mantenute dal nuovo padrone sabaudo, sino alla conquista nel 1946 dell’Autonomia Statutaria, furono quelle dell’impunità per i suoi sostenitori, per i picciotti di mafia al loro servizio e per i baroni italianizzati, cioè per quella categoria antropologica e parapolitica che Noi definiamo ASCARI.
Mi permetta poi di contestare, fermamente quanto garbatamente, l’idea che Garibaldi incarnerebbe il contraltare al particolarismo siciliano.
Ancora una volta, caro Casarrubea, occorre il coraggio intellettuale di chiamare le cose con il loro nome: Garibaldi non era e non fu mai un internazionalista.
Fu semmai un avventuriero, un mercenario internazionale, che più che combattere il colonialismo e la servitù se ne fece subdolo strumento in nome, in Sicilia, del disegno della superpotenza per eccellenza di allora: l’Inghilterra.
Inghilterra che lo guidò, supportò, difese e che era pronta a intervenire militarmente in caso ( eventualità ritenuta probabile visto il dispiegamento di truppe inglesi ) di sconfitta.
Poi voglio chiederle, davvero professore Ella è convinto che quello Stato Unitario fu diga contro le mafie?
Vorrei ricordarle sommessamente quanto fermamente già Cesare Abba testimoniava nelle sue memorie che tra i “liberatori” di Garibaldi vi erano i pochi raccomandabili “picciotti” che altro non erano che i mafiosi di allora.
Professore è un suo diritto innamorarsi delle verosimiglianze che studiate da giovane, poi introiettate oggi ripropone ma è altresì mio, nostro diritto, e dovere, ristabilire il senso e la verità storica su fatti e uomini e processi politici.
Ella, al pari di tanti altri, non vuole, non sa fare differenze tra carnefici e vittime, tra veri Rivoluzionari e veri Conservatori.
Ella davvero crede che la storia si faccia ex post ?
Se pur difendo il suo diritto personale a pensarla come meglio crede è pur vero che un antico, riconosciuto Popolo non può essere ricondotto, ridotto a una idea come la sua, ovviamente personale e personalizzata, di storia siciliana e dei suoi movimenti sociali, politici che definirei riduttivamente semplicistica.
In conclusione credo davvero che la doppia pagina de ” La Repubblica” - edizione di Palermo sia uno degli esempi più coerenti e paradigmatici di NEGAZIONISMO STORICO e di CONSERVATORISMO POLITOLOGICO DI MARCHIO CENTRALISTICO e di ESCLUSIVISMO MONOCULTURALE che da anni mi è capitato di leggere.
Concludo queste mie contro-deduzioni dicendo che tra “il vento del nord” di nenniana memoria e “il vento avvelenato dell’indipendentismo” evocato nell’occhiello dell’intervento di Santino sta terzo e montante IL VENTO DELLA SPERANZA dell’Indipendentismo democratico, pacifista e antimafioso che offre finalmente una alternativa sociale e politica rispetto un SISTEMA davvero triste sia che lo rappresentino certi autonomisti che certi centralisti di destra , centro o sinistra.
Distinti Saluti
Fabio Cannizzaro
Vice Segretario
FRUNTI NAZZIUNALI SICILIANU –SICILIA INDIPINNENTI
Vice Segretario
FRUNTI NAZZIUNALI SICILIANU –SICILIA INDIPINNENTI
Sede di Palermo: c/o FRUNTI NAZZIUNALI SICILIANU – SICILIA INDIPINNENTI - VIA BRUNETTO LATINI 26 90141 PALERMO - Tel.091 329456 –email: fnsme@yahoo.it
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